“[…] Passiamo il nostro tempo e la nostra vita a contemplare quello che abbiamo già contemplato: questa è la chiusura più insidiosa e sulla ridondanza è costruito il nostro habitat. Noi edifichiamo l’analogo e il simile, è la nostra architettura, e quelli che percepiscono diversamente, o altrove, sono i nostri nemici”. Da P.Virilio, L’orizzonte negativo. Saggio di dromoscopia, ed. Costa & Nolan. La parola “flusso”, segue per assonanza la sinuosità delle linee che la definiscono e i segni che tracciamo per scriverla. Praticamente essi, coincidono con l’azione che comunica il suo significato. Un esempio di questo genere (Bruno Zevi citava Roland Barthes e il suo saggio linguistico “Sarrasine” di Balzac, S/Z, l’argomento riflessivo e come al solito puntuale, del critico, riguardava la sinuosità della “S” rispetto alla razionalità e la durezza della “Z”), lo troviamo nell’evoluzione nell’architettura di Peter Eisenman nel Wexner Centre e Zaha Ahdid nella caserma dei vigili del fuoco; la ricerca progettuale dichiarata, ora si evolve e i riferimenti grafici mostrano le loro colte conseguenze, l’abbandono delle forme acuminate come armi che, sceglievano così, di impadronirsi dello spazio. Erano come perversi prismi aberrati, pronti a scivolare per incunearsi e dilaniare l’aria, o le griglie modulari grazie alle quali, l’architetto ci ha dimostrato l’assurdità della rigidezza dei “dogmi”. Diventa quindi comprensibile, la logica conseguenza nell’esplorare, la convincente e progettualmente, opposta ricerca compositiva. I segni “acuminati”, hanno lasciato il posto ad onde e flussi di correnti, una disinvolta e morbida dinamica liquida, che si realizza come verifica delle possibilità immaginifiche dell’epoca che li ha generati. In un presente sollecitato da problematiche che assumono giornalmente caratteristiche sempre più importanti, si rivela necessaria un’analisi dettagliata, disposta ad indagare nuove forme concettuali di spazio. Seguire scrupolosamente, le strutture evolutive, nelle quali esso, riesce ad evidenziarsi. Diventano preziose perciò, tutte le possibili e nuove riflessioni sullo spazio. Sia dell’ambiente, intorno all’uomo e ai suoi movimenti, fino alla scala urbana dove egli stabilisce le sue condizioni relazionali d’esistenza. Tutto ciò è immerso in una rete di connessioni e tra queste ci sono le merci, i flussi di gente, di notizie ed informazioni, che uniscono, confrontano, adeguano e riparano, offrono e conservano, moltiplicano e sconvolgono, rendono tutto più movimentato ed emotivamente vivo. L’architettura, che si voglia o no, è prima testimone di queste epocali trasformazioni nel sistema della città (ricordo che “città” indica, qui, un insieme d’elementi fisici e percettivi legati indissolubilmente).Uno degli aspetti che affronteremo, è l’osservazione che riguarda la definizione dell'”AMBITO variabile”.
Fig 1) Daniel Libeskind, Manchester, Imperial War Museum
Soggetto decisivo nella teoria dell’informazione e della relazionalità, dato da alcune caratteristiche che andremo ad individuare. Lo scopo sarà quello di indagare l’estensione del termine e definire un suo intorno di appartenenza, generato da alcune forme o frammenti di esse, individuati nella proliferazione incessante di riferimenti esistenti in questa realtà. Il loro incontro, infatti, (a volte casuale) stabilisce e crea condizioni nuove che definiremo, qui, appunto come “AMBITI variabili”. In essi confluisce l’energia del significante, la percezione è stimolata, e l’opera creativa della mente, senza nessun ordine particolare, si mette a creare e definire sagome e stabilire profondità quando, tutto questo, non è atteso. Nasce così l’ambito. E’ un “non-luogo” inteso, però dinamicamente, esiste in una zona di vicinanza e contemporaneamente di transizione, ha in sé una componente di movimento che si trasforma, come la regolazione della profondità di campo di una macchina fotografica. Per “AMBITO variabile” s’intende un luogo di passaggio indefinito, ma attivo. Esso si trova intorno a forme non concluse, viaggia nel loro margine, nello spazio che le separa dal fondo. Capace di innescare l’elaborazione di nuove varianti percettive, l’ambito genera una confluenza e un’attività segnica. L’ambito sceglie un tempo suo che coinvolge la percezione visiva, dettandogli regole e ordini nuovi. Un gioco di affinità e differenze spaziali, ancora tutte da indagare. La confluenza di segni, quindi, genera percettivamente gli AMBITI variabili. Si scorgono lì, dove l’esplorazione di frammenti dello spazio disindividuati, sono inseriti in un tumultuoso sistema di relazioni. Esempi di possibili costruzioni d’AMBITO variabile, sono quelli che dimostrano come, nello spazio si possono identificare delle direttrici dinamiche libere o tracce indipendenti, delineando, luoghi percettivi di riconosciuta attività. Una pratica realizzazione di quest’AMBITO variabile, lo ha generato Libeskind che, nel suo museo decompone la sfera terrestre e ricompone i pezzi che la costituivano, ma il senso generale è sconvolto e la razionale sistemazione, si dissolve in unioni tanto casuali quanto azzardate, come se mancasse il senso o la verità delle cose. La scomposizione che risulta è sconcertante. Esattamente ciò che rimane, nella mente di chi ha vissuto la guerra, rivelando un ordine d’idee irregolari e incastrate casualmente, con pezzi sopravvissuti all’irrazionale catastrofica realtà in cui, la verità (si sa, ma è bene ripeterlo) è la prima vittima. Ancora una volta Libeskind ha generato dei segni maturi ed il risultato è un pregevole elogio allo spazio. L’individuazione dei “pezzi” che costituiscono la struttura suggeriscono una strada, AMBITO di confluenza, organica e attiva, come se fosse un vulcano di cui (visivamente) sentiamo il ribollire, prefigurando una prossima eruzione, le espansioni di energia stimolata da questi segni, verifica l’esistenza dell’AMBITO variabile.
Fig 2) Daniel Libeskind, Manchester, Imperial War Museum.
Oppure l’opera recente di Zaha Hadid che nelle sue sinuose fasce, nel progetto del Centro di Arte Contemporanea, non si allontana dalla visione del maestro svedese Alvar Aalto. L’architetto finlandese elogia la cultura artigianale della materia legno, ha tratto con “sensibilità “, ciò che ora diventa, con Z.Hadid materia prima figuratamante “assonante”, rivista secondo le tecniche contemporanee. Generati da complesse e capienti memorie informatiche i segni scorrono in flessuosi nastri creando un’AMBITO vibrante, un nuovo linguaggio visivo e in ogni modo interpretativo d’energie e nuove successioni spaziali. Il lavoro dell’architetto iracheno stabilisce regole formali. Ancora una volta la descrizione e la possibilità di individuare delle direttrici grafiche-spaziali, aumenta percettivamente, la lettura di uno spazio. In ogni caso lasciamo ai lettori l’approfondimento della tecnica di lavorazione del materiale, la quale sicuramente dà la possibilità, a livello progettuale, di generare forme e molteplici condizioni creative. Santiago Calatrava adotta questo sistema già da molto tempo nelle sue architetture, riconoscendo a questa tecnica una meravigliosa potenza comunicante e tecnologicamente attiva, sia per un discorso percettivo sia costruttivo dichiaratamente anatomico e staticamente pregevole. L’architettura, immersa in ricerche estreme, è, (lo è sempre stato) un materiale da laboratorio sperimentale. Sembra sia in preda a movimenti tellurici, definiti da superfici corrugate e piane sollecitati che disegnano delle pieghe, derivate da magmatiche insofferenze formali. Le superfici si adagiano, rimanendo instabili come le utopie che le hanno generate. Architetture affascinanti che aprono spiragli nuovi per una libera e quanto mai spregiudicata sperimentazione. Si scopre un discorso diverso d’ambientazione, e l’intorno vibra proprio come la conoscenza che una “città della cultura” deve trasmettere. E’ quello che ci mostra l’evoluzione sempre d’alto livello della riceraca Eismaniana. Che siano superfici, piani tagliati, prospettive aberrate, nastri fluttuanti, essi, rispondono tutti ad un’unica regola; quella della visualizzazione dello spazio e dei suoi codici. L’esperienza di Zaha Hadid è certa, come la sua bravura, i metodi per raggiungerla nella pratica costruttiva architettonica, rientrano fisicamente in sistemi “formali” già visitati formalmente da Alvar Aalto per questo ora, aspettiamo il prossimo avanzamento. E sappiamo bene, che Zaha Hadid lo può fare benissimo. Alvar Aalto “crea” dalla natura del legno l’AMBITO variabile, Zaha Hadid lo “tratta”, come un codice interpretativo nuovo adeguandolo allo spirito di questo tempo. Non tralasciamo l’elegante rigatura del maestro artigiano finlandese che nella sua naturale eleganza e perfezione, esprime in pieno le possibilità comunicanti del legno, trattandolo in maniera egregia ed evidenziandone una figurazione segnica “assonante”. I flussi, sia delle informazioni, delle merci quindi dei messaggi che esse trasportano, dei viaggi d’individui, sono in ogni caso testimonianza di spostamenti, di variazioni d’AMBITO, dati dal tempo e nello spazio. Essi, hanno inciso nello spazio nuovi solchi e la scultura così realizzata della realtà che viviamo, ha proiettato intorno a sè, sorprendenti visioni urbane e nuove pratiche d’intervento per le ricerche architettoniche.
Fig. sx) Zaha Hadid, progetto per il Centro delle Arti contemporanee, Roma .
Fig. dx) Alvar Aalto, Teatro dell’Opera, Essen- auditorio scuola di Otaniemi- centro parrocchiale Wolfsburg- Riola Vergato (Bo).
Flussi quindi, come incontenibili e straripanti torrenti, scivolano senza seguire direzioni, non esistendo argini che possano trattenere la loro potenza divulgatrice, hanno disintegrato la loro antica localizzazione e hanno cavalcato i vettori comunicativi umani facendo proprie le diverse possibilità, trovando strade impensabili e mai usate secondo questi scopi. I flussi hanno consumato il concetto di localizzazione, di coordinate fisiche, dell’essenza del mondo materiale. Vorrei si riflettesse, però su un concetto, che come sempre questi articoli si propongono di fare, un aspetto della realtà che viviamo e di cui bisogna tenere conto. Bene, l’informazione, come sappiamo, regna incontrastata il nostro tempo e le nostre visioni, con essa tutto un nuovo genere di relazioni, ma è vero anche che l’informazione segue una velocità propria e non ammette ingerenze e appesantiti parametri, come il “tempo” e la “distanza”, quindi è l’informazione stessa, che tende a sottolineare l’entropico degrado dello spazio.
Fig. sx) Zaha Hadid, progetto per il Centro dEsperimenti di legno curvato, e studio delle possibilità espressive del materiale. Alvar Aalto .
Fig. dx) Plastici di prova, per il centro d’Arte Contemporanea. Zaha Hadid.
Esso finisce per essere un ostacolo, come un’incrostazione destinata, con il tempo, a scomparire. Paradossale! Una realtà aberrante che s’inserisce nell’architettura contemporanea, di cui bisogna studiarne le caratteristiche per scoprirne i limiti e le compromissioni. Una nuova strada possibile di ricerca! Come può, infatti, un elemento che nega totalmente lo spazio, diventare promotore di nuove idee e della sua stessa nuova concezione ed evoluzione? Questo è un nodo da chiarire, sicuramente alimenta la teoria sull’ “AMBITO”, come luogo da tradurre in forme e relazioni che diventeranno argomenti di discussione. D’altronde è lapalissiano che l’interattività si rivela come uno scambio veloce, un’azione che nella sua presunzione di ubiquità, può evolversi in diverse maniere, ma fugge da qualsiasi compromesso formale; il segno e lo spazio sono azzerati.
Fig. sx)Calatrava,, nel Wisconsin, affacciato sul lago Michigan, MAM, Museo d’Arte Moderna .
Fig. dx) Alvar Aalto, chiesa Vuoksenniska, Imatra, prese d’aria, è da notare l’elegante rigatura che plasticizza dinamizzandole, le fprme scelte.
Dentro questa realtà, consapevolmente, s’inserisce il nostro discorso che riguarda gli AMBITI variabili, la teoria dell’AMBITO variabile vuole, in effetti scoprire quando e in quali casi, lo spazio (ente supremo dell’architettura) cessa la sua funzione e passa in secondo piano. Gli AMBITI variabili, allora tentano di ridefinire questa dimensione, per visualizzarla e quindi comprenderla. Una problematica che ha bisogno di alimentarsi di nuovi discorsi sulla velocità tecnologica e aprire nuove tematiche su questo nuovo tipo di relazione, che tale paradosso genera. AMBITO come evoluzione dinamica, parte fondamentale di confronto. Un tempo, questo concetto si agirava tra definizioni progettualmente concrete come lo spazio “evenemenziale” di Bernard Tschumi o “interstiziale” di Peter Eisenman o ancora “eterotopico” come l’ha definito Michel Foucault, poi la visione pian piano diventa più nitida. L’architettura e la sperimentazione di questo momento n’è la prova. Luoghi dell’attraversamento, luoghi negati dall’evidente velocità che è l’essenza dell’informazione, aree indomabili e incostringibili, ma visibili ai pochi capaci di porsi, le giuste domande. Una questione, che dalle premesse, palesa una complessità d’intervento mai affrontata prima. Uno dei rischi, sembrerebbe quello che, l’informazione releghi all’architettura un posto fascinoso e stimolante mostrandone maliziosamente i suoi aspetti, spietatamente vendibili, magari come vettore di nuove varianti, però basate su esplicite tecniche di mercato magari rinnovandone l’immagine apportandone attraenti maquillage, testurizzandola secondo il programma di rendering in voga. Teniamo presente che questo però, allontana l’interesse dell’architettura dalla sua essenza, la relazione principale tra la vita dell’uomo e il suo ambiente.
Fig. 3) Studi e plastico con l’inserimento urbano e il cantiere a Santiago de Compostela del progetto di Eisenman .
Le nuove architetture, pur pregevoli e straordinariamente colte, diventano facile materiale di consumo visivo, se non sono descritte o mostrate nella giusta luce. Infatti, sono tentate da un’aura di apprezzamenti, decadentemente edonistici, capaci di porre una condannabile distanza dall’esperienza diretta. L’architettura, così procedendo, rischia di essere protagonista di un’esposizione permanente di gabbie dorate, teoriche, inserite in una vasta e terrificante “mostra delle atrocità”, (parafrasando l’opera di Ballard, non lontano da questa visione). Il fenomeno purtroppo è direttamente proporzionale, in quanto, la validità di certe architetture aumenta la possibilità di agganci e sfruttamenti mediali, la cui velocità di divulgazione non fa recepire il significato contemplativo e materiale della visione architettonica. Il fenomeno in breve tempo, andrà a dilatare la distanza che si sta creando tra l’uomo e l’interazione del suo ambiente; una distanza, ora, diventata troppo “mediale”.
Fig. 4) P.Eisenman, Santiago de Compostela , rendering.
Fig. 5)A.Aalto, Padiglione finlandese a N.Y. 1939.
Certo che rispetto a ciò che succede per questo fenomeno, prettamente progettuale, ci sarebbe da riferirsi ad una nuova tendenza, ad una teoria riguardante l’incombente, “estetica della sparizione” che, dopo stagioni di brillante manualità e ingegno, tecnologicamente valido, aderisce un po’ troppo frettolosamente a pratiche strategiche commerciali. L’architettura, divenuto vettore di trasporto d’informazione, consumata la sua parabola, si contrae sparisce e si rigenera in una velocità allucinante, resiste solo l’informazione che continuerà a cavalcare onde architettoniche descritte più come apparenze, o riflessi opachi di profili ormai architettonicamente in dissoluzione. Esperimenti emblematici di nuove varianti progettuali e teorie di una diversa visione, forse un’idea di continuità dello spazio, comunque AMBITI variabili di origine proteica facenti parte del DNA dello spazio, forse una realtà individuabile solo agli occhi dell’uomo nomade che vivrà dell’alternanza veloce di pieni e vuoti, dati dallo spostamento, dal viaggio, dalla ricerca continua, dalla sua peregrinazione informazionale. Oppure il vano tentativo di ricucitura dello strappo mitico dell’uomo e la sua terra, dal suo spazio di vita. Il progetto d’ individuazione della scala d’AMBITO variabile, è l’evoluzione naturale del luogo “altro” celebrato negli ultimi anni, è il focalizzare maggiormente ed osservare al microscopio l’intima struttura dell’informazione capace della corrosione architettonica, come di essere la tanto anelata “soluzione”. Quest’analisi può essere capace di rivelarsi, un inizio qualificante e, perché no, un nuovo elemento sommato all’epoca progettuale che stiamo vivendo, dichiaratamente “superiore”. Purché essa sia attenta ai fenomeni cangianti della “trasformazione percettiva” umana, riconoscendole un’importanza fondamentale, nella continua mutazione dell’uomo nel suo ambiente. Una visione profetica che, nella sua sconvolgente semplicità conferma ciò che Flaubert tanto tempo fa, profetizzava: ” Più i telescopi saranno perfezionati, più stelle ci saranno”.
Fig. 6)Studi sulla percezione d’AMBITO architettonico, archivio di Paolo Marzano.
Fonti iconografiche e testi di riferimento:
– Area n° 63,
– Casabella n° 670,
– Karl Fleig (a cura di), Alvar Aalto, Zanichelli,
– “Studi d’AMBITO”, archivio di Paolo Marzano
– Domus 848,
– Domus 851
– P.Virilio, L’orizzonte negativo. Saggio di dromoscopia, ed. Costa & Nolan.
– M.Sabin L.Marcato, Percezione e architettura, Raffaello Cortina editore.
– Cesare De Sessa, Capire lo spazio architettonico
-studi di ermeneutica spaziale, Officina Edizioni.
– P.Virilio, Lo spazio critico, Dedalo edizioni.
– Derrida,La scrittura e la differenza, Einaudi Paperbacks.
– U. Eco, La struttura assente, Ed. Bompiani.
– P.Virilio, Estetica della sparizione, Liguori Editore.
– Gerhard Schmitt, Studi per un’università virtuale, in Lotus 104
– Brian Hatton, I.T. in Arkadia Nouveau