Metafore d’architettura

di Claudio Compagnucci

E’ arrivato il giorno in cui ci siamo dovuti rendere conto di essere confinati in un mondo i cui limiti non riusciremo mai a superare. La “Sfera” di Flatland, di Edwin A. Abbott, ci ha svegliato da quel torpore intellettuale nel quale eravamo confinati. Ma, come il “Quadrato” nel racconto, siamo rimasti attoniti e non abbiamo saputo comprendere, fino in fondo, quale verità si stava rivelando ai nostri occhi. Oltre al nostro universo ne esiste almeno un’altro, e probabilmente ne esistono altri ancora. Questo è ciò che i nostri occhi, che la nostra mente, non sono stati capaci di comprendere fino ad ora. Mondi che nella nostra dimensione non possiamo percepire, ma solamente raffigurare in modo semplificato tramite artifici. Esattamente come ciò che accade su un foglio di carta quando vi disegnamo una prospettiva. Il foglio non può rappresentare uno spazio tridimensionale se non attraverso un escamotage bidimensionale, la prospettiva appunto. Ora siamo costretti a fare i conti con questa nuova coscienza. Internet è la “Sfera” che ci introduce a questo nuovo mondo. Che ci da la spinta per compiere questo salto logico complesso. Il web è lo strumento capace di rappresentare questa nuova dimensione, della quale, però, abbiamo ancora una cognizione approssimativa. E’ un’universo in cui vigono regole differenti rispetto alla nostra dimensione. E’ un livello più alto nel quale anche il tempo viene percepito in modo differente. Un mondo affascinante che, come ogni novità, non è stato trascurato dai personaggi più sensibili. Artisti di ogni genere hanno intravisto nel web le possibilità che un mezzo di tale complessità avrebbe potuto proporre e rendere accessibili. Gli architetti più impegnati nella ricerca hanno compreso quale fondamentale strumento rappresentasse il computer per la loro professione. Ma in pochi hanno saputo scorgere in internet un possibile campo di ricerca. Se, come dice Antonino Saggio, l’architettura con il tempo, dalla Rivoluzione Industriale ad oggi, ha rappresentato di volta in volta in modo sempre più predominante l’elemento informazione tra i suoi fattori, oggi, più che mai, essa non dovrà più limitarsi a rappresentare, ma dovrà divenire essa stessa informazione. Le avanguardie più spinte hanno capito l’importanza di un’architettura completamente informatizzata che possa vivere di convenzioni applicate ad hoc. Che possa reggersi su “non regole”, spingendosi oltre i cinque sensi e rappresentando metafore attraverso linguaggi molteplici e complessi. Un linguaggio che possa essere percepito da tutti gli utenti in modo appropriato alle proprie sensibilità. Se l’architettura fino alla rivoluzione informatica è stata una macchina funzionante divenendo poi , in tempi più recenti, espressione di metafore, raccontando storie, ora, in questa fase di sviluppo esponenziale dell’IT (information Technology), essa deve non solo rappresentare metafore, ma crearne di nuove autonomamente. Dunque il passaggio epocale è nella capacità di creare storie differenti per i differenti interlocutori. Divenendo da “architettura metaforizzata” ad “architettura metaforizzante”. Opere come ADA rappresentano un primo passo verso l’architettura intelligente e autonoma del prossimo futuro. Artisti-architetti del calibro di Ammar Eloueini sono orientati verso questa strada. Progettano architetture che si modificano con il tempo. Se l’architettura è composta da informazione, essi modificano i dati che ne configurano le sembianze, attraverso complesse formule matematiche piuttosto che tramite l’immissione di codici genetici capaci di modificarne le conformazioni, generare nuove architetture-figlie, nascere o morire. Sono William Latham e Sthepen Todd i progenitori di un’architettura così concettuale ed avveniristica da essere considerati visionari e osservati con quella diffidenza alla quale gli architetti di Archigram, trent’anni fa, erano abituati. E così nella dimensione del cyberspace trovano spazio quelle che vengono comunemente definite Network Art, definizione di Derrick De Kerckhove (“Network Art and Virtual Communities” Fabbri Editori, Milano, 1995), il più grande teorico interessato alla rete . E alle Morfogenesi di Latham e Todd, ottenute grazie al loro software Mutator, si aggiungono le opere di Greg Lynn, definite tramite l’utilizzo delle metaball. E quelle di Marcos Novak che affida le sue architetture al cyberspazio consapevole della possibilità di non assegnare, tramite l’imposizione di regole, limiti fisici che solo nel mondo informatico possono sparire. Ma è il lavoro di un ricercatore del MIT a stupire in modo particolare se rapportato a questo contesto. Karl Sims lavora alla definizione di entità coscienti che abbiano, quindi, la capacità di elaborare una decisione. Di scegliere. Dei veri e propri organismi che vivono nel mondo virtuale del computer. Capaci di crescere, imparare, acquisire esperienza e tramandarla. Sims è riuscito, attraverso i suoi studi, ad attribuire un codice genetico a entità tridimensionali capaci di spostarsi nello spazio e di mutare con il tempo. Entità che hanno la possibilità di generare altre entità a cui “insegnare” le proprie conoscenze. Il lavoro di Sims è arrivato, in questa fase di sviluppo, alla formazione di individui informatici capaci di contendersi un oggetto. di camminare, nuotare o saltare. Egli inoltre ha osservato le reazioni di questi individui nel caso in cui li avesse privati di un’arto, è ha potuto notare come questi hanno cercato di ottimizzare le risorse a loro disponibili modificando i propri movimenti per riuscire a spostarsi. L’applicazione in ambito architettonico è complessa. Una sfida che potrebbe portare alla vera architettura delle metafore. Alla capacità dell’edificio di modificarsi con il tempo e in relazione allo scambio di informazioni con il mondo esterno e con gli utenti. E, ipotizzando l’utilizzo più estremo di questa tecnologia, la capacità, nel caso di un danno ad un elemento della costruzione, di modificare lo sfruttamento delle risorse per bypassare l’inconveniente e riuscire a funzionare ugualmente.

La Redazione
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