Prossimità…di senso inedito

di Paolo Marzano

“[…] nel silenzio del pensiero, noi percorriamo fin d’ora i viali informatici del cyberspazio, abitiamo le imponderabili dimore digitali ovunque diffuse, che costituiscono fin da adesso le soggettività degli individui e dei gruppi.[…]. E’ un’architettura dell’interno, un sistema incompiuto delle strumentazioni collettive di intelligenza, una volteggiante città dai tetti di segni.” Tratto da: P.Lévy, L’intelligenza collettiva, Feltrinelli Milano, 1996. La vastità dei percorsi di ricerca e la produzione di innumerevoli visioni nuove per lo spazio architettonico, contribuiscono a delineare aggiornati modelli progettuali, soluzioni di evidente raffinatezza costruttiva e di una colta espressività. Molte volte succede che ad avere la meglio, sia una possibile inadeguatezza delle metodologie di approccio all’argomento spaziale (architettonico) definendo poi, delle rappresentazioni ben pubblicizzate, ma letteralmente ‘banali’. La sperimentazione infatti, può esalatare ed entusiasmare oppure, condurre ad una deprimente ibridazione formale, da non confondere con la dirompente contaminazione intesa nella sua accezione qualificante. Forse servirebbe dotare il tavolo della ricerca architettonica, di strumenti rispettosi del corpo vivo della sperimentazione contemporanea, nelle sue più complesse e vitali varianti. Cerchiamo quindi di affrontare osservando, quelle che da sempre distinguo, come delle ben definite mutazioni che si stanno verificando nel mondo reale, di cui solo l’architettura intesa come relazione dell’uomo con il suo ambiente, può verificare. Dallo spazio del “piccolo movimento” fisico fino allo spazio dello spostamento “virtuale” (infinitamente più vasto), l’architettura evidenzia le sue qualità e i suoi enigmatici dialoghi, di cui dobbiamo decifrarne la sintassi. Un ponte tra queste due dimensioni, mostra l’impossibilità di definirne i collegamenti o tentare di recepirne i segni costitutivi; quella che si va costituendo appare infatti, come un’architettura inedita, un’architettura delle “prossimità”. Una città nuova dai paesaggi dimensionali immateriali. Dimore dove il “passaggio” tra esterno e interno rivela zone di inedita trasformazione, sono spazi densi che vivono ai margini di realtà diverse. Ma cosa rappresentano per il mondo reale e quali possibilità hanno aggiunto all’architettura e quindi alla relazione tra gli individui? Rispondiamo cercando di analizzare per punti quello che penso sia successo e stia succedendo tutt’ora durante il formarsi di questi spazi. Penso che le condizioni si siano formate naturalmente, ascrivendosi ad un’evidente risveglio di proprietà umane “latenti”. Sollecitate da fenomeni percettivi e sovrapproduzioni tecnologiche, nella loro ossessionante ricerca di ambiti umani in cui inserirsi, queste tecnologie hanno intaccato ciò che per l’uomo è stato taciuto naturalmente da un equilibrio di ordine superiore legato alla componente evolutiva. Come dire; prima o poi doveva succedere! Come ho scritto in un altro articolo, tali possibilità (spazi immaginari che uniti alla tecnologia hanno acquisito la fisicità di estensioni o memorie interscambiabili) si trovano già nel nostro inconscio, vivono con noi le nostre visioni e si sublimano in probabili percezioni. Il quotidiano, ci ha abituati ad usarli pochissimo per la povertà e la semplicità delle nostre relazioni, con l’ambiente, ma sono sempre pronte ad attivarsi se stimolate nella maniera giusta. Sono delle vere “periferiche” organiche, ma il fatto certo è che, queste connessioni aprono spiragli nuovi e illuminano modi e mondi di cui non conoscevamo le coordinate per concepirne la realtà. Si tratta di spazi nuovi, che scardinano le definizioni fisiche e sconvolgono i circuiti normalizzati del sapere, acquisiscono per natura, una permeabilità di fronte a qualunque linguaggio e assorbono i “nuovi tempi” nel loro ipnotico funzionamento. Certo le visioni di registi e scrittori a proposito dell’argomento, non sono delle più entusiasmanti, il flusso d’informazioni, porta ad una consapevole “distrazione” ( vedi articolo ‘Simulazione d’assenza’ e ‘L’ambito variabile’). Per esempio Philip K.Dick, isola i suoi personaggi in un mondo klipperizzato (verso un disordine incontrollabile, nel suo racconto ‘Il cacciatore di Androidi’), Wim Wenders nel film “Fino alla fine del mondo”, invece li isola in una natura lontana metafisicamente ‘ferma’ agli occhi dell’uomo, consumati da un’assenza dalla realtà, data dalla sua ossessionante presenza in un mondo in transito, “supportato” da continue connessioni, con periferiche incantatrici di derivazioni digitali, sempre attive. La ricerca architettonica verifica queste nuove ‘etensioni’ di senso che danno possibili visioni di paesaggi ancora da esplorare. Nuovi significati all’orizzonte di una trasformata natura umana? Si formano altri generi imprevisti di sensibilità unite a processi cognitivi nuovi, prefigurano un nuovo campo d’azione difficile da concepire, ma che grazie alla scoperta di una rigenerante ‘virtualità’, stanno emergendo. L’architettura e la continua ricerca e l’ impegnata sperimentazione, sono già pronte per stabilire nuove basi per le diverse tipologie di attività indagatrici, con lo scopo di proporre nuove idee in un campo che ora moltiplica veramente le già numerose opportunità espressive. Proviamo a dare un senso figurato al tipo di relazione che l’uomo stabilisce con il suo intorno. Siamo, a questo punto, in grado di immaginare delle figure simili a vere e proprie ‘bolle’ relazionali. La prima bolla è identificabile con lo spazio appena fuori dal nostro corpo, quello dei gesti e dei movimenti, delle relazioni con gli oggetti d’uso per il vivere nel quotidiano. La seconda bolla è lo spazio che comprende l’interno della nostra abitazione, come guscio, tana o rifugio, ma può essere anche l’unità di vicinato, quell’unità fisica che ci mette a contatto di un mondo percepibile materialmente; un altro tipo di relazioni di raggio più esteso. La terza bolla, è la scala più grande, quella fatta dall’isolato o dalla città e dal mondo, un ambito più vasto che si percepisce, ma non si vede. Anche qui si tratta di relazioni, poste però su piani cognitivi diversi, le identità qualitative e quantitative cambiano e assumono altre referenze. Tra gli strati di queste immaginarie bolle, esistono zone dove l’uso consapevole dei nuovi meccanismi comunicativi tecnologici e i loro molteplici circuiti, hanno determinato, prossimità spaziali “fisiologiche”, fondendo compiute e naturali parti organico-percettive strettamente dipendenti dall’umano bisogno, a nuove piattaforme elettroniche pervase da circuiti meccanico-digitali. L’assimilazione avvenuta, ha determinato delle vere e proprie “estensioni” e ha formato superfici attive ora, tecnologicamente vitali. Infatti, l’attività mediale degli ultimi decenni ha inserito, sommandola alla realtà fisica, anche una dimensione nuova; quella virtuale. Una nuova connessione ad un “vicinato” accessibile, piacevolmente prossimo, “alla portata” di una più vasta moltitidine di fruitori di spazi “altri”, la cui vastità aumenta in maniera direttamente proporzionale al loro numero. Si cambia così piano d’azione e da una fisicità ben territorializzata, si è passati ad un piano immateriale, i significati ed i concetti che formavano reali immagini mentali di riferimento fisico, hanno sconvolto i nuovi riferimenti d’appartenenza. Che sia una forma di riappropriazione delle possibilità mentali non ancora rivelate? Comunque, si tratta certo di una prova di collegamento mentale che ha contribuito ad allargare la visione umana, unendola indissolubilmente ad un ambiente affascinante e differenziato. Una città che contiene mille altre città possibili nella mente dei suoi cittadini! Contemporaneamente si è verificato qualcosa di non programmato, con una sua singolare attività (qualcuno direbbe un effetto collaterale). Autonomamente ecco formarsi un’ inaspettata ‘connessione’, come un cortocircuito (questo è il punto da analizzare), dell’infinito spazio virtuale, con lo spazio percettivo più intimo dell’individuo, quello fatto dei desideri, dei sogni, delle attese insomma del mondo immaginifico. Sono stati scavalcati gli spazi (bolle) intermedi che traducevano e filtravano le informazioni valide da quelle che si presentavano come interferenze. Da questa ‘scorciatoia’ (pericolosissima aggiungo io, se non regolata), può entrare nella nostra mente, veramente di tutto, infatti è diventata una corsia preferenziale direttamente unita alla nostra zona, forse più indifesa in quanto mancante delle schermature naturali che l’evoluzione aveva previsto. Bolle di spazio quindi, racchiuse l’una nell’altra, una somma di filtri che si sovrappongono creando le più svariate e stimolanti esperienze comunicative culturali, visive, contenendo tutti i generi di espressività. Per una lettura più agevole di questa realtà, è utile come non mai, affinare i metodi e le tecniche di decodificazione delle diverse sue potenzialità. Uno di questi strumenti è nella frase di apertura dello scritto di P. Lévy che tratta del “sistema incompiuto di strumentazioni collettive di intelligenza”. Il tema pare di una certa importanza, specialmente se inserito in periodo, come quello che viviamo, caratterizzato da una proliferazione della cultura dei media, inserita a volte, al limite di situazioni in cui l’osservato prevale sul vissuto l’iper-mediato sul veritiero. E’ questa, la genesi di un momento perpetuo, l’ accidente cede ad un tempo continuo, ci è permesso così, “accedere” ad un flusso di informazioni, vaste zone interattive, guidano l’attenzione del “fruitore di rete”, in spazi in-formali sovrapposti, definendo dei luoghi di nuova referenza, istituendone l’in-diretta realtà. Uno spazio diverso da quello che abbiamo sempre immaginato e, aggiungo io, ‘percepito’ come tale. Infatti è costituito da una materia sconosciuta, generato da un composto di dati che difficilmente è possibile osservare con attenzione. Esso è in preda ad un effetto “morphing” con tutte le conseguenze derivanti, una forma variata che lascia intuire solo l’impossibilità di una sua collocazione. Stiamo scoprendo l’intima struttura dell’architettura, la “relazione” nella sua forma primordiale come ci è stata direttamente regalata da un processo di evoluzione dinamicamente vitale e soprattutto “adattabile” (termine che in futuro, sarà più volte collegato all’architettura). Ho sempre pensato che le reti dei media con le loro connessioni, abbiano costituito inediti ancoraggi tra le idee e in generale tra gli individui, funzionando da catalizzatori in questo grande esperimento collettivo di cui siamo tutti partecipi. Credo nell’ipotesi di una grande nuova forma collettiva di relazione e con essa una nuova sensibilità come valore “empatico”. Intelligenze interattive che portano a frutto le loro esperienze modificando e raggiungendo possibilità di partecipazione sociale inimmaginabili. Rimanendo su questo concetto di “nuova sensibilità”, stiamo arrivando al punto centrale, che questo scritto intende porre come tematica di discussione e di riflessione sul modo di intendere i particolari cambiamenti nell’ambito sociale, legate all’evoluzione architettonica investendola così, di quel carattere tecnologico-comunicativo. Già sull’argomento. si sono espressi oltre all’autore P.Lévy che arriva a definire un contatto individuato come un’estrema e diretta tendenza collettiva alla “comunicazione angelica” anche recentemente ripresa poi da Massimo Cacciari in Casabella n.705, nell’articolo Nomadi in prigione. Siamo di fronte ad una concezione nuova di territorialità e quindi di ordine delle relazioni urbane, intese come radicate fisicamente in un luogo, ma che risultano affette da un virulento, epidemico “nomadismo percettivo”. Comunicazioni di uno “spazio collettivo” che ha per essenza naturale la proprietà di vibrare e quindi di comunicare con particolare risonanza, generando tutto un insieme di nuove “prossimità”, di luoghi commutabili. Il risultato più importante rivela un’ attivazione grazie, non alla struttura globale, ma all’insieme delle sue molteplici parti. L’attento studio e l’indagine storica “verticale” affrontata per arrivare a queste conclusioni, passa da Spinoza a Felix Guattari affrontando l’interessantissimo argomento, del “Corpo senza organi”, in formazione permanente. I flussi d’informazioni generano metaforiche gallerie del vento, dove l’interattività, modella identità complesse partecipi di una grande macchina pensante. In altri scritti è già stato affrontato il problema della possibile deformazione della percezione umana inserita nella velocità delle informazioni, ma non possiamo assolutamente sottovalutare l’enorme vantaggio del sapere umano che si avvicina a qualcosa d’ importante. Viviamo le “prossimità” di quello che si va delineando come la complessa genesi del nostro probabile “nuovo senso”. Difficile da immaginare perchè formato da una magmatica realtà, ma possibile da descrivere. Come si arriva a tali conclusioni? Basta osservare attentamente l’evoluzione architettonica e le componenti tecnologiche che ad essa si sono pian piano unite costituendone configurazioni strutturali ormai insostituibili. La mia ricerca fondata sulle problematiche inerenti alla trasformazione percettiva dell’umano immerso in un sistema d’informazioni derivate dalla possibile trasformabilità dello spazio (l’architettura chiaramente rientra totalmente in quest’ambito), cambiano continuamente l’identità del luogo. La relativa percezione di questi cambiamenti sia fisici che psichici, ha innescato il funzionamento di un’altra “frequenza” di relazione; ecco perché ho definito il fenomeno come un “senso inedito”, di recente nuova acquisizione. E’ il regalo di una fusione con una tecnologia avanzata, la perfetta simbiosi tra due realtà lontane che hanno trovato una strada comune avviluppando le prestazioni dell’ospite e offrendo le proprie, a garanzia di una sopravvivenza più lunga. Pensiamoci bene; se i cinque sensi ci relazionano alla fisicità del luogo, secondo parametri misurabili, come una complessa strumentazione di rilevamento radar, allora il mondo virtuale, e le sue regole (spazi illimitati per l’immaginazione e la creatività), ha creato un confronto nuovo, un probabile ed importante “senso inedito”. Esso ci accompagnerà inoltrandoci in un ambito “deterritorializzato”, “dislocato”, senza coordinate di riferimento, caratteristiche essenziali del “senso inedito”, costituito da prossimità spaziali in continua costruzione. Il processo di mutazione dello spazio di relazione, sia esso fisico che virtuale, e della sua identificazione sociale, specialmente con le nuove generazioni di artisti, designers e architetti, quindi, ha operato uno sviluppo imprevisto. Ha creato le condizioni favorevoli per il manifestarsi di una nuova visione dello stesso ambito, generando una dimensione alternativa collettiva di sopravvivenza; un “senso inedito” che nessuno aveva previsto. Un senso che svela l’importanza relazionale degli altri cinque e ribalta il concetto di materia, proiettando un’intepretazione diversa nel discorso costruttivo e soprattutto progettuale tutto da reinventare. E’ cambiato qualcosa nel nostro modo di intendere il tempo e lo spazio, “percettivamente” non più relativi. Una realtà che l’architettura ha saputo registrare che vive della sua essenza adattabile e che rifiuta la fissità classificante. L’architettura è l’esempio pregevole delle flessibilità, delle sue forme espressive che registrano i cambiamenti sociali e le diverse innovazioni tecnologiche. Essa ha risposto come sempre alle attese, anzi grazie alla sua immensa mole di ricerche ed esperienze, rimane l’esempio pratico nella possibilità di ricreare nuove visioni composte da nuovi linguaggi, straordinariamente diversi. Praticamente, sembra che la tecnologia stia facendo di tutto per rivelare ciò che, con il solo uso del corpo l’individuo e le sue incomplete attività fisiche e psicologiche, non immaginava si potessero attuare. Discorsi che abbracciano questo tipo di argomentazioni, scaturiti da problemi complessi come l’architettura ed i suoi ambiti interpretatativi, non possono avere semplici risposte, per cui una difficoltà sarà quella di ricercare delle regole per l’avanzata a volte, problematica, di questo nuovo mondo mediatico. B.Edelstein, Romantic Notations: Wave,Los Angeles 1985. Shuhei Endo, Springtecture h, Harima, Giappone 1998. Verifichiamo la definizione di “Ambito Variabile”, nelle due foto; l’artista americana Barbara Edelstein crea l’ambito variabile’, sperimenta strutture che possano, con la loro presenza, riportare l’arte tra la gente. Shuhei Endo trae, da questa sensibilità percettiva un valore relazionante, quindi trasforma quest’Ambito Variabile, in un “architettonico” possibile. I due sensibili possono anche non sapere l’uno dell’altra, si tratta, infatti, di un ambito materico (acciaio galvanizzato), di una “sensibilità assonante”. Lo scopo è quello di comprenderne i risvolti o i limiti del fenomeno, una volta applicati ad un’evidente limitatezza e ad un’ impreparazione dell’individuo di creare anticorpi alle fisiologiche disfunzioni di un probabile processo degenerativo tecnologico. Il nuovo “senso”, certo ci aiuterà, perché nasce da un importante bisogno; sviluppare continuamente strategie prima, di accettazione e poi di un uso favorevole di spazi “altri”. La superfice attiva dell’innovazione, esprime emergenze tra le permanenze mute, gli spazi nuovi (o ritrovati), sono a disposizione di forze diverse, l’anomalia si potrebbe trovare nel riproporsi di, già viste, ambientazioni o spazi infiniti e vuoti, che definiscono ancora immanenti “carceri piranesiane” del futuro, dove la sagoma dell’uomo spunta solo per dare ragione ad una scala proporzionale d’intervento inserita in un’ aura antropica, nella quale tutto potrebbe essere compreso, anche il nulla. Più gli argomenti intensificano la loro coinvolgente portata e più ci accorgiamo come l’architettura abbia sempre racchiuso in sé le diverse varianti e i modelli di trasformazioni conseguenti all’evoluzione dei modi diversi di vita affrontati dall’uomo. La definizione di un nuovo senso umano, diventa la soluzione naturale alla proliferazione di una virtualità pluridimensionata. Tra frastuoni segnici, sequenze d’immagini contaminate da nuovi linguaggi visivi coinvolti in una velocità costantemente riaggiornata, scuotono la condivisione di spazi digitali. Viviamo tra istallazioni meccaniche in costruzione come ponti proiettati nel vuoto, “prossimi” a raggiungere altre sponde, ma che rimangono continuamente “opere aperte”, non concluse, incompiute realtà virtuali, come fari i cui bagliori sono di riferimento per future nuove sensibili attività umane impegnate come non mai, ad “acquisire” il mondo. Sono questi, i nuovi territori da conquistare con la ricerca per arrivare ad avere finalmente un’architettura “poeticamente colta”. Il futuro tavolo di prova per nuove sperimentazioni, da dove salperanno ancora i sensibili vascelli informatici, solcheranno onde di espressività diverse, sperando in una nuovo approdo capace di rendere la nostra esistenza più libera. Viviamo le “prossimità” di un nuovo affascinante “senso”, con una rinnovata carica architettonica che può dilatarsi in spazi conquistati o forse ritrovati dall’intùito derivato da un’intelligenza collettiva. Uno scovolgente e sempre stimolante scenario aperto alla creatività, ora percepibile grazie ad un “senso inedito”, trampolino per le imponderabili nuove scene di una realtà in continuo allestimento. “[…] – Lei non partecipa alla fusione? Non ha una scatola dell’empatia? […] – Ma una scatola dell’empatia – fece Isidore, balbettando per l’emozione, – è l’oggetto più personale che ci sia! E’ un’estensione del proprio corpo; è l’unico contatto possibile con gli altri uomini, è il solo modo di non essere più soli”. Tratto dal racconto di fantascienza “Il cacciatore di androidi” di Philip K.Dick Fonti delle foto in ordine progressivo: – Allestimento mostra di Frank Gehry al Gugghenim di N.Y. agosto 2001 foto di Letizia Camaiti, Firenze. – L’Architettura n. 527 – Casabella 702 – Area 63 – Abitare 314 – Domus 852 – Casabella 690

La Redazione
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