Il progetto si attesta lungo la via Ostiense, a ridosso dell’ex centrale elettrica Montemartini, sede attuale dei musei capitolini. Il lotto, diventato improvvisamente sgombro dalle unità edilizie che lo occupavano, poneva il delicato problema di come “supplire” ciò che aveva caratterizzato per anni quel luogo. Il gesto di sostituire un componente elettronico come un modulo RAM su una scheda madre interpreta astrattamente quello che si è realizzato nell’area: tre moduli distinti che mantengono morfologicamente la suggestione iniziale e vanno a sostituire, appunto, le unità mancanti. Tre grandi portali che, con effetto caleidoscopico, conduco all’interno del lotto, accompagnando il visitatore attraverso l’esperienza mutevole di varcare le soglie ideali così definite. Ed è solo reiterando questo processo che è stato possibile negare una rigida demarcazione tra interno ed esterno, tra dentro e fuori. Un’architettura plastica, fatta di pieni, di vuoti, di luci ed ombre, che ha il pregio di creare introspezioni spaziali sempre diverse. Il tutto in prismi completamente traslucidi, animati dal ritmo serrato dei moduli Uglass che li rivestono, che, colpiti dalla luce, rendono l’intero complesso quasi immateriale e seduttivo. Un filtro che diffonde la luce all’interno con grande morbidezza regalando colori e “sensazioni” diverse nell’arco della giornata e che si anima anche di sera, quando, per l’illuminazione artificiale interna, assume l’aspetto di un’ enorme “lanterna” di luce diffusa.